sabato 31 maggio 2014

Altheo "concerti": Radio Italia Live in piazza Duomo a MIlano.






Tutto pronto per il Concerto di Radio Italia Live che si terrà domenica 1 giugno in Piazza del Duomo a Milano. Sul palco, a partire dalle ore 20, si esibiranno cantanti del calibro di Giorgia, Elisa, Giuliano Sangiorgi con i Negramaro, Biagio Antonacci, Laura Pausini, Emma Marrone, Claudio Baglione, Edoardo Bennato, Alex Britti.
Cinque ore di musica rigorosamente italiana da seguire dal vivo o in diretta televisiva o radiofonica sulle frequenze di Radio Italia. Le nostre anticipazioni riguardano indiscrezioni su alcune canzone che canteranno i cantanti durante il concerto.
Anticipazioni Concerto Radio Italia Live: ecco cosa canteranno i cantanti
Ed allora vediamo insieme cosa canteranno i cantanti ospiti del concerto del 1° giugno inPiazza Duomo a Milano. Premettiamo che ciascun cantane avrà a disposizione circa venti minuti di esibizione e che canterà tre brani. La scaletta non è dato sapere, ma possiamo anticipare almeno una canzone che sicuramente verrà cantata da ciascun cantante.
Attesissimi Giuliano Sangiorgi e la su band, i Negramaro: da loro ascolteremo sicuramente la cover molto in voga in questo periodo "Un amore cosi grande", canzone scritta da Guido Maria Ferilli nel 1976 ed interpretata da Mario Del Monaco, Luciano Pavarotti, Andrea Bocelli, ma soprattutto da Claudio Villa e da sua figlia Manuela, dopo la sua morte. DaLaura Pausini ascolteremo un suo vecchio successo di vent'anni orsono, "Non c'è", mentre Alex Britti canterà "Solo una volta". Molta attesa perBiagio Antonacci ("Ti penso raramente") e per Emma Marrone ("La mia città"). Edoardo Bennato scalderà il pubblico con "Il rock di Capitano Uncino", mentre canzoni che ci riporteranno indietro nel tempo le ascolteremo da Giorgia ("Di sole e d'azzurro"), Claudio Baglioni ("Strada facendo") ed Elisa ("Gli ostacoli del cuore").


martedì 27 maggio 2014

Altheo "Mostre": Ramona Zordini Transizione Acquatica- Water Transition.





In corso presso la 77artgallery la mostra personale della fotografa Ramona Zordini: si esplorerano le tre serie del progetto CHANGING TIME, con il loro straordinario impatto visivo ed emotivo.
Ne parliamo con entusiasmo dopo già preso visione dei suoi lavori nella collettiva “Linguaggi del Corpo”, dal 17 febbraio al 2 marzo, che ha funzionato come anticipazione della personale. E’ stata presentata la prima serie di Changing Time, con un assaggio della seconda.
Da alcune settimane sono usciti importanti presentazioni dell’artista su riviste e portali stranieri come Hifructose Magazine, Beautifuldecay e lo spagnolo Playgroundmag.net , che riconoscono la portata del valore espressivo e della freschezza del linguaggio, che crediamo consacrerà la fotografa alla meritata fama internazionale.

Le foto ritraggono tutte nudi immersi nell’acqua di una vasca, praticamente irriconoscibile come spazio chiuso ma utilizzata come teatro dell’azione coreografica, che attraverso vari effetti pare acquisire l’aspetto monumentale di una grotta termale classica. Ramona Zordini utilizza il proprio corpo o quello di altri per rappresentare attraverso di esso un moto dell’animo, che i movimenti e l’acqua stessa rendono più graduale e quasi sospeso nell’azione, nel momento in cui vengono fermati.




La condizione psicofisica è rappresentata mentre è in atto una trasformazione: intuitivamente
abbiamo la sensazione di un’azione in corso dei corpi immersi o galleggianti, e nello stesso tempo ci sentiamo richiamati dalla potenza dell’immagine ad una metafora senza filtri della fragilità e della forza necessaria all’esistenza. Nulla di quanto vediamo è definito nel tempo, è un processo che resta in divenire, muta per sempre finchè esiste soffio di vita. Chiunque guarda lo capisce, ma, invece che provare angoscia ne resta ancorato, ammaliato.

Fin dall’inizio della sua ricerca la possibilità di andare oltre il limite temporale si accompagna alla necessità di eliminare le delimitazioni spaziali e mentali di opera fotografica: la cornice quadrata e la bidimensionalità, come afferma  l'artista stessa. Il concetto di superamento di un confine materiale si traduce, a livello tecnico, nella scelta di graduale abbattimento di ciò che sono le tipiche barriere spaziali dell’opera artistica tradizionale, seguendo le due direttrici indicate.

In primo luogo si cambia l’idea di cornice, con quella forma quadrata o rettangolare che ancora
ha resistito al passaggio di avanguardie e transavanguardie. Ramona Zordini sperimenta così la forma ellittica o rotonda. In secondo luogo si raggiunge la terza dimensione trasferendo l’immagine fotografica su materiali diversi. Dopo alcune sperimentazioni, viene scelto il tessuto elastico di jersey, nato proprio per esaltare le forme umane. Dove è rappresentata la parte del corpo emersa dall’acqua l’artista interviene con una imbottitura per poi cucire la zona interessata. La parte tridimensionale è quella che si mette in comunicazione con l’esterno all’immagine che esce propriamente dal quadro e pone l’osservatore in una condizione condivisa, tattile e tangibile, con il soggetto rappresentato. Come se la materia “imbottita” fosse quella più vicina all’umano sia in senso fisico che in senso emotivo.

L’oggetto tridimensionale così costruito, quando è di forma tonda, coinvolge il senso del tatto e della vista mettendoli sullo stesso piano. Non è la funzionalità di un cuscino perché l’immagine stessa possiede ancora l’idea di una cornice, in certi casi data con ironia dalla cornice vera e propria imbottita a sua volta, e quindi continua a rispettare la finestra frontale del racconto, dell’immagine che si fa metafora nell’osservazione di un momento preciso nel tempo, seppure in trasformazione. E’ e rimane uno scatto, definito come in una scena teatrale, fissato prima che diventi altro e che ci permette ancora di ragionare e immaginare, e dare un nostro contributo al suo significato con la nostra personale sensibilità.

La fotografa lavora con la trasformazione, il mutamento di una condizione fisica del corpo che ne rivela quella spirituale. Il corpo ritratto è catalizzatore di emozioni mentre tende all’avvicinamento con la nostra dimensione, mentre si trova in uno spazio liquido definito e di definizione completa e autonoma, come in una sorta di placenta originaria. Così come viene presentato il corpo è l’attore originario, che mette in comunicazione due mondi e ambienti di diversa sostanza: l’acqua e l’aria. Anche quest’ultimo elemento determina spazi isolati e isolanti, e protettivi. Chi osserva si trova ad essere controparte necessaria di questa conversazione, sempre restando ad alcuni gradi di separazione dall’oggetto dell’indagine estetica rappresentata.

I suoi scatti ritraggono corpi immersi la cui autonomia e compostezza viene a mancare man mano che si avvicinano alla nostra dimensione.
Se guardiamo le immagini nelle quali l’oggetto presentato rimane aldilà della barriera liquida, e mobile, dell’acqua, notiamo una leggerezza di espressione, un raccoglimento senza necessità di confronto con altri attori, e questo genera nei soggetti una bellezza semplice e apollinea nell’armonia dei movimenti, nella dolcezza della postura. Anche i colori sono più tonali e l’insieme fa pensare alla scultura barocca, nel suo aspetto di giocosa e morbida plasticità. Sott’acqua l’atmosfera è ovattata, in certi quasi confusa nella manifestazione della plasticità delle forme e degli oggetti grazie ad alcuni liquidi colorati o all’utilizzo di latte, rendendo l’insieme irreale e metafisico, uno spazio senza entrata che filtra solo parte del ritmo naturale del tempo, rievocando di un mondo onirico insieme. La natura ambigua della sostanza nasconde la completezza dei gesti, accentuando la sospensione del tempo reale e del suo svolgersi senza fine.

Invece i corpi propriamente emergenti si muovono verso la trasformazione, cercano e incontrano lo spazio “altro” da ciò che li ha generati, e dentro il quale potrebbero rimanere per sempre, perchè avviluppati come in un liquido amniotico che li rende autosufficienti. Eppure cercano qualcosa o qualcuno con cui comunicare, sono disposti a subire una perdita di armonia, pur di avvicinarsi a noi, pur di assimilare la nostra carnale e vitale imperfezione.




Fanno parte di noi anche coloro che vivono in un mondo parallelo al nostro, come le persone che soffrono di malattie incurabili, per cui il nostro contatto può rivelarsi fatale, ma che la vicinanza visiva fa noi e loro si rivela una presenza emotivamente necessaria. Parte di questa analisi estetica può essere nata infatti da un’esperienza dolorosa legata all’infanzia della fotografa, quando il padre si trovava nel reparto infettivi dell’ospedale di Brescia, e l’artista poteva vedere e parlare con lui soltanto attraverso un vetro.
Non conosciamo l’esito di questo connubio tra i due modi, a Ramona Zordini non interessa. Quello che davvero conta nella sua ricerca è il processo, la tensione emotiva in atto nel tentativo di com-prensione del nostro simile, ma mai identico.

La serie Changing Time III non rappresenta più soltanto corpi solitari, in prevalenza femminili ma coppie di persone sott’acqua e prosegue la ricerca sulla tridimensionalità. Utilizzare due corpi avvinghiati tra loro, senza soluzione di continuità, implica uno sviluppo nell’elaborazione del concetto di comunicazione attraverso il corpo stesso, elegantemente espressa in senso plastico nella molteplice varietà di posizioni e gestualità. Quello che viene in primis notato, anche secondo i ciritci di Hi-Fructose Magazine, è l’energia erotica che ne sprigiona, unita al senso di una necessità disperata di tenersi uniti, come se le membra degli amanti cercassero in continuazione di combattere contro una forza che li può separare.

Ancor più che nelle altre serie l’impatto visivo è notevole ma, come prima, l’azione rimane sospesa in un istante senza tempo, senza fine e senza inizio, e rimane valido il discorso sul tentativo di connessione tra due mondi. Aggiungiamo che l’integrazione tra emerso e sommerso, tra le parti cucite e imbottite e quelle piane, acquista una completezza nella struttura da rendere l’opera finale qualcosa di più vicino alla scultura rispetto a CHANGING TIME I e II. La terza serie è degna di una maturità plastica, che si sviluppa da una consapevolezza fotografica maggiore della potenzialità estetica del corpo umano.

Michela Ongaretti



sabato 24 maggio 2014

Altheo "Fotografia": Giovanni Gastel. L’arte è una fotografia applicata.



Mi piace che Giovanni Gastel abbia deciso di intitolare la sua lectio magistralis al festival Fotografia Europea di Reggio Emilia La fotografia come arte applicata.
Un grande fotografo di moda interpreta il suo mestiere come l’”applicazione” di una pratica artistica. Fotografia come arte applicata – perfetto.
La fotografia non è un’arte pura, per sua e nostra fortuna. Non ha nulla di puro:  evviva. È un meraviglioso ibrido, fin dall’inizio.
Fu definita “la figlia bastarda abbandonata dalla scienza sulla soglia dell’arte”. I bastardi sono sempre i migliori.
Si può fare – forse – poesia pura, si può scrivere una poesia solo per il piacere di scriverla. Ma è impossibile – almeno io la penso così  – scattare una fotografia per il puro piacere di scattarla.
Tutta la fotografia è “applicata”. Nel senso che qualsiasi fotografia viene prodotta per uno scopo, una funzione, un destinatario. Ogni fotografia si inserisce in una rete di relazioni sociali, civili, pubbliche, lo si voglia o no.
Miliardi di fotografie che si producono ogni giorno sono tutte “applicate”, funzionali, utili, perfino servizievoli.
Casomai la parola su cui interrogarci, in quella definizione, è arte. La fotografia è una produzione di immagini a mezzo di un sofisticato strumento tecnico. Non tutte le immagini che produce, anzi a dire il vero solo un’estrema minoranza, appartengono al mondo degli oggetti d’arte.
Bisognerebbe quindi dire, meglio, che la fotografia è in prima battuta una una tecnicaapplicata. Si potrebbe meglio dire che la fotografia  è una pratica che si può “applicare” a tante funzioni, quindi anche all’arte.
Gastel lo sa bene, da grande professionista della fotografia di moda: e la fotografia di moda è una delle “applicazioni” più difficili di questa tecnica di produzione di immagini. Non è quel che sembra. Non è solo fare belle fotografie a belle donne con bei vestiti addosso. È una fotografia efficiente, esigentissima, complessa.
Serve a vendere vestiti ma non è il commesso di un negozio. Serve a vendere illusioni ma non è un candidato alle elezioni. Serve a darci un’immagine di noi stessi ma non è uno specchio. Serve a creare sogni ma non è un sonnifero …
È un mestiere della fotografia, e Gastel sa bene anche questo: guida un’associazione di professionisti, l’Afip, dentro la Cna. Del resto lui stesso ha cominciato facendo foto di matrimoni, ritratti, fototessere, duplicati di documenti.
Per questo, cosa che ho apprezzato nelle sue interviste, nelle cose che dice e scrive, non si è mai permesso di disprezzare nessuna delle “applicazioni” della fotografia, nessuno dei suoi usi, quelli professionali, quelli privati, quelli sociali.
Gastel è un fotografo professionale te molto sofisticato, celebre,  suo modo è una star, ma la sua mancanza di snobismo verso la sua compagna di vita e di avventure è ammirevole. Si vedono in giro fin troppi snob che storcono il naso di fronte alle “altre” fotografie possibili, e non appena possono dicono “ma questa non è fotografia”.
Una fotografia è sempre una fotografia, anche quella della pizza o dei piedi in spiaggia, anche la foto del gatto, anche i famigerati selfie, anche le boccacce tra amici sulla panchina del parco, anche la fotografia di un cantiere edile, anche la fototessera, anche la fotografia delle vacanze è fotografia.
Chi si sente minacciato come fotografo “autore consapevole”, esperto, capace, creativo, dalle mille applicazioni della fotografia, forse è insicuro di quella che ha scelto, forse ha paura di non essere poi così capace, autore, creativo. Chi disprezza le fotografie e ama solo la sua, non ama veramente la fotografia.
Le fotografie, di qualsiasi genere, lontanissime fra loro, hanno tutte in comune una cosa. Mettono in relazione gli esseri umani. Una foto, d’autore o senza autore, bella o brutta, professionale o banale, è uno scambio di sguardi fra umani, e arricchiesce la relazione fra gli umani.
Sapete che c’è una differenza linguistica fra noi e gli anglosassoni. Noi diciamo che le fotografie si fanno, loro che si prendono. Forse abbiamo un po’ ragione entrambi. Ma forse si può aggiunger eun terzo verbo.
Se le fotografie sono relazioni fra gli uomini, allora sono a loro modo come discorsi, parole, gesti, sguardi che gli uomini si scambiano.
E allora le fotografie non tanto si prendono e non si fanno, quanto, semplicemente, si dicono.