martedì 27 maggio 2014

Altheo "Mostre": Ramona Zordini Transizione Acquatica- Water Transition.





In corso presso la 77artgallery la mostra personale della fotografa Ramona Zordini: si esplorerano le tre serie del progetto CHANGING TIME, con il loro straordinario impatto visivo ed emotivo.
Ne parliamo con entusiasmo dopo già preso visione dei suoi lavori nella collettiva “Linguaggi del Corpo”, dal 17 febbraio al 2 marzo, che ha funzionato come anticipazione della personale. E’ stata presentata la prima serie di Changing Time, con un assaggio della seconda.
Da alcune settimane sono usciti importanti presentazioni dell’artista su riviste e portali stranieri come Hifructose Magazine, Beautifuldecay e lo spagnolo Playgroundmag.net , che riconoscono la portata del valore espressivo e della freschezza del linguaggio, che crediamo consacrerà la fotografa alla meritata fama internazionale.

Le foto ritraggono tutte nudi immersi nell’acqua di una vasca, praticamente irriconoscibile come spazio chiuso ma utilizzata come teatro dell’azione coreografica, che attraverso vari effetti pare acquisire l’aspetto monumentale di una grotta termale classica. Ramona Zordini utilizza il proprio corpo o quello di altri per rappresentare attraverso di esso un moto dell’animo, che i movimenti e l’acqua stessa rendono più graduale e quasi sospeso nell’azione, nel momento in cui vengono fermati.




La condizione psicofisica è rappresentata mentre è in atto una trasformazione: intuitivamente
abbiamo la sensazione di un’azione in corso dei corpi immersi o galleggianti, e nello stesso tempo ci sentiamo richiamati dalla potenza dell’immagine ad una metafora senza filtri della fragilità e della forza necessaria all’esistenza. Nulla di quanto vediamo è definito nel tempo, è un processo che resta in divenire, muta per sempre finchè esiste soffio di vita. Chiunque guarda lo capisce, ma, invece che provare angoscia ne resta ancorato, ammaliato.

Fin dall’inizio della sua ricerca la possibilità di andare oltre il limite temporale si accompagna alla necessità di eliminare le delimitazioni spaziali e mentali di opera fotografica: la cornice quadrata e la bidimensionalità, come afferma  l'artista stessa. Il concetto di superamento di un confine materiale si traduce, a livello tecnico, nella scelta di graduale abbattimento di ciò che sono le tipiche barriere spaziali dell’opera artistica tradizionale, seguendo le due direttrici indicate.

In primo luogo si cambia l’idea di cornice, con quella forma quadrata o rettangolare che ancora
ha resistito al passaggio di avanguardie e transavanguardie. Ramona Zordini sperimenta così la forma ellittica o rotonda. In secondo luogo si raggiunge la terza dimensione trasferendo l’immagine fotografica su materiali diversi. Dopo alcune sperimentazioni, viene scelto il tessuto elastico di jersey, nato proprio per esaltare le forme umane. Dove è rappresentata la parte del corpo emersa dall’acqua l’artista interviene con una imbottitura per poi cucire la zona interessata. La parte tridimensionale è quella che si mette in comunicazione con l’esterno all’immagine che esce propriamente dal quadro e pone l’osservatore in una condizione condivisa, tattile e tangibile, con il soggetto rappresentato. Come se la materia “imbottita” fosse quella più vicina all’umano sia in senso fisico che in senso emotivo.

L’oggetto tridimensionale così costruito, quando è di forma tonda, coinvolge il senso del tatto e della vista mettendoli sullo stesso piano. Non è la funzionalità di un cuscino perché l’immagine stessa possiede ancora l’idea di una cornice, in certi casi data con ironia dalla cornice vera e propria imbottita a sua volta, e quindi continua a rispettare la finestra frontale del racconto, dell’immagine che si fa metafora nell’osservazione di un momento preciso nel tempo, seppure in trasformazione. E’ e rimane uno scatto, definito come in una scena teatrale, fissato prima che diventi altro e che ci permette ancora di ragionare e immaginare, e dare un nostro contributo al suo significato con la nostra personale sensibilità.

La fotografa lavora con la trasformazione, il mutamento di una condizione fisica del corpo che ne rivela quella spirituale. Il corpo ritratto è catalizzatore di emozioni mentre tende all’avvicinamento con la nostra dimensione, mentre si trova in uno spazio liquido definito e di definizione completa e autonoma, come in una sorta di placenta originaria. Così come viene presentato il corpo è l’attore originario, che mette in comunicazione due mondi e ambienti di diversa sostanza: l’acqua e l’aria. Anche quest’ultimo elemento determina spazi isolati e isolanti, e protettivi. Chi osserva si trova ad essere controparte necessaria di questa conversazione, sempre restando ad alcuni gradi di separazione dall’oggetto dell’indagine estetica rappresentata.

I suoi scatti ritraggono corpi immersi la cui autonomia e compostezza viene a mancare man mano che si avvicinano alla nostra dimensione.
Se guardiamo le immagini nelle quali l’oggetto presentato rimane aldilà della barriera liquida, e mobile, dell’acqua, notiamo una leggerezza di espressione, un raccoglimento senza necessità di confronto con altri attori, e questo genera nei soggetti una bellezza semplice e apollinea nell’armonia dei movimenti, nella dolcezza della postura. Anche i colori sono più tonali e l’insieme fa pensare alla scultura barocca, nel suo aspetto di giocosa e morbida plasticità. Sott’acqua l’atmosfera è ovattata, in certi quasi confusa nella manifestazione della plasticità delle forme e degli oggetti grazie ad alcuni liquidi colorati o all’utilizzo di latte, rendendo l’insieme irreale e metafisico, uno spazio senza entrata che filtra solo parte del ritmo naturale del tempo, rievocando di un mondo onirico insieme. La natura ambigua della sostanza nasconde la completezza dei gesti, accentuando la sospensione del tempo reale e del suo svolgersi senza fine.

Invece i corpi propriamente emergenti si muovono verso la trasformazione, cercano e incontrano lo spazio “altro” da ciò che li ha generati, e dentro il quale potrebbero rimanere per sempre, perchè avviluppati come in un liquido amniotico che li rende autosufficienti. Eppure cercano qualcosa o qualcuno con cui comunicare, sono disposti a subire una perdita di armonia, pur di avvicinarsi a noi, pur di assimilare la nostra carnale e vitale imperfezione.




Fanno parte di noi anche coloro che vivono in un mondo parallelo al nostro, come le persone che soffrono di malattie incurabili, per cui il nostro contatto può rivelarsi fatale, ma che la vicinanza visiva fa noi e loro si rivela una presenza emotivamente necessaria. Parte di questa analisi estetica può essere nata infatti da un’esperienza dolorosa legata all’infanzia della fotografa, quando il padre si trovava nel reparto infettivi dell’ospedale di Brescia, e l’artista poteva vedere e parlare con lui soltanto attraverso un vetro.
Non conosciamo l’esito di questo connubio tra i due modi, a Ramona Zordini non interessa. Quello che davvero conta nella sua ricerca è il processo, la tensione emotiva in atto nel tentativo di com-prensione del nostro simile, ma mai identico.

La serie Changing Time III non rappresenta più soltanto corpi solitari, in prevalenza femminili ma coppie di persone sott’acqua e prosegue la ricerca sulla tridimensionalità. Utilizzare due corpi avvinghiati tra loro, senza soluzione di continuità, implica uno sviluppo nell’elaborazione del concetto di comunicazione attraverso il corpo stesso, elegantemente espressa in senso plastico nella molteplice varietà di posizioni e gestualità. Quello che viene in primis notato, anche secondo i ciritci di Hi-Fructose Magazine, è l’energia erotica che ne sprigiona, unita al senso di una necessità disperata di tenersi uniti, come se le membra degli amanti cercassero in continuazione di combattere contro una forza che li può separare.

Ancor più che nelle altre serie l’impatto visivo è notevole ma, come prima, l’azione rimane sospesa in un istante senza tempo, senza fine e senza inizio, e rimane valido il discorso sul tentativo di connessione tra due mondi. Aggiungiamo che l’integrazione tra emerso e sommerso, tra le parti cucite e imbottite e quelle piane, acquista una completezza nella struttura da rendere l’opera finale qualcosa di più vicino alla scultura rispetto a CHANGING TIME I e II. La terza serie è degna di una maturità plastica, che si sviluppa da una consapevolezza fotografica maggiore della potenzialità estetica del corpo umano.

Michela Ongaretti