sabato 24 maggio 2014

Altheo "Fotografia": Giovanni Gastel. L’arte è una fotografia applicata.



Mi piace che Giovanni Gastel abbia deciso di intitolare la sua lectio magistralis al festival Fotografia Europea di Reggio Emilia La fotografia come arte applicata.
Un grande fotografo di moda interpreta il suo mestiere come l’”applicazione” di una pratica artistica. Fotografia come arte applicata – perfetto.
La fotografia non è un’arte pura, per sua e nostra fortuna. Non ha nulla di puro:  evviva. È un meraviglioso ibrido, fin dall’inizio.
Fu definita “la figlia bastarda abbandonata dalla scienza sulla soglia dell’arte”. I bastardi sono sempre i migliori.
Si può fare – forse – poesia pura, si può scrivere una poesia solo per il piacere di scriverla. Ma è impossibile – almeno io la penso così  – scattare una fotografia per il puro piacere di scattarla.
Tutta la fotografia è “applicata”. Nel senso che qualsiasi fotografia viene prodotta per uno scopo, una funzione, un destinatario. Ogni fotografia si inserisce in una rete di relazioni sociali, civili, pubbliche, lo si voglia o no.
Miliardi di fotografie che si producono ogni giorno sono tutte “applicate”, funzionali, utili, perfino servizievoli.
Casomai la parola su cui interrogarci, in quella definizione, è arte. La fotografia è una produzione di immagini a mezzo di un sofisticato strumento tecnico. Non tutte le immagini che produce, anzi a dire il vero solo un’estrema minoranza, appartengono al mondo degli oggetti d’arte.
Bisognerebbe quindi dire, meglio, che la fotografia è in prima battuta una una tecnicaapplicata. Si potrebbe meglio dire che la fotografia  è una pratica che si può “applicare” a tante funzioni, quindi anche all’arte.
Gastel lo sa bene, da grande professionista della fotografia di moda: e la fotografia di moda è una delle “applicazioni” più difficili di questa tecnica di produzione di immagini. Non è quel che sembra. Non è solo fare belle fotografie a belle donne con bei vestiti addosso. È una fotografia efficiente, esigentissima, complessa.
Serve a vendere vestiti ma non è il commesso di un negozio. Serve a vendere illusioni ma non è un candidato alle elezioni. Serve a darci un’immagine di noi stessi ma non è uno specchio. Serve a creare sogni ma non è un sonnifero …
È un mestiere della fotografia, e Gastel sa bene anche questo: guida un’associazione di professionisti, l’Afip, dentro la Cna. Del resto lui stesso ha cominciato facendo foto di matrimoni, ritratti, fototessere, duplicati di documenti.
Per questo, cosa che ho apprezzato nelle sue interviste, nelle cose che dice e scrive, non si è mai permesso di disprezzare nessuna delle “applicazioni” della fotografia, nessuno dei suoi usi, quelli professionali, quelli privati, quelli sociali.
Gastel è un fotografo professionale te molto sofisticato, celebre,  suo modo è una star, ma la sua mancanza di snobismo verso la sua compagna di vita e di avventure è ammirevole. Si vedono in giro fin troppi snob che storcono il naso di fronte alle “altre” fotografie possibili, e non appena possono dicono “ma questa non è fotografia”.
Una fotografia è sempre una fotografia, anche quella della pizza o dei piedi in spiaggia, anche la foto del gatto, anche i famigerati selfie, anche le boccacce tra amici sulla panchina del parco, anche la fotografia di un cantiere edile, anche la fototessera, anche la fotografia delle vacanze è fotografia.
Chi si sente minacciato come fotografo “autore consapevole”, esperto, capace, creativo, dalle mille applicazioni della fotografia, forse è insicuro di quella che ha scelto, forse ha paura di non essere poi così capace, autore, creativo. Chi disprezza le fotografie e ama solo la sua, non ama veramente la fotografia.
Le fotografie, di qualsiasi genere, lontanissime fra loro, hanno tutte in comune una cosa. Mettono in relazione gli esseri umani. Una foto, d’autore o senza autore, bella o brutta, professionale o banale, è uno scambio di sguardi fra umani, e arricchiesce la relazione fra gli umani.
Sapete che c’è una differenza linguistica fra noi e gli anglosassoni. Noi diciamo che le fotografie si fanno, loro che si prendono. Forse abbiamo un po’ ragione entrambi. Ma forse si può aggiunger eun terzo verbo.
Se le fotografie sono relazioni fra gli uomini, allora sono a loro modo come discorsi, parole, gesti, sguardi che gli uomini si scambiano.
E allora le fotografie non tanto si prendono e non si fanno, quanto, semplicemente, si dicono.