martedì 3 giugno 2014

Altheo "people": Stefania Sergi, una poesia per una scultura.




La scultura di Stefania Sergi si vive a fior di pelle in un alto grado di sentimento che ha una caratteristica della donna nella sua costituzione psicologica. Un dono profondo che marca la natura di chi sa proiettare su se stesso questo essere sconosciuto che è il mondo interiore che possediamo.
Il corpo rappresenta la singolarità di un essere, una goccia, il mare rappresenta per lei la vita, parte del suo stesso corpo.. I dialoghi fra loro finiscono come un’onda lunga che si protrae mutando sensazioni, umori, colori. E il linguaggio nasce assieme all’emozione dando spazio a momenti che fanno mancare il respiro. 

Tutte queste situazioni, questi eventi, si susseguono attraverso spazi di vita psicologica e interiore.
Se mi interrogo sulla ricerca estetica di questa opera è perché voglio entrare nel processo che nasce dalla poesia per raggiungere la scultura
Tutti noi abbiamo bisogno di questa Artista per continuare a ricercare dentro di noi queste fonti, queste forze interne della nostra natura, è soltanto con lei Stefania può creare o meglio, sentirla.


Marcia Theophilo




Stefania Sergi

Grazie Marcia Theophilo,, grazie Poeta, indomita e lirica combattente in favore di quell’infinita cattedrale verde, la selva amazzonica, sa infondere, con i suoi versi intrisi di passione e di ancestrali memorie, emozioni profonde e sensazioni incancellabili. 

Sosteniamo La candidata al Premio Nobel letteratura 2014, diamo voce a lei per le nostre voci silenti.

Stefania Sergi

Altheo "Moda": Rihanna regina della moda per il 2014. E lei si presenta (quasi) nuda.




Icona della moda: il 2 giugno, al Lincoln CenterRihanna ha ricevuto il Fashion Icon Award 2014 dal Council of Fashion Designers of America per aver, a modo suo, lasciato un segno indelebile nella moda.
E senza dubbio, il look scelto dalla popstar originaria di Barbados per ritirare il premio non passerà certo inosservato: praticamente nuda, ricoperta soltanto da un velo di 216.000 cristalli Swarovski (l’abito è di Adam Selman)
Ma Rihanna è Rihanna, non ha paura di osare, sia sul red carpet che fuori, e la trasparenza le piace tantissmo. Il buon gusto non è sempre presente nel suo armadio, ma quando si parla di stile non necessariamente si parla di “eleganza”. Dalla sua ci sta che per ben sei volte si è conquistata lacover di Vogue Anna Wintour e questo non è poco.
Prima di lei, il premio è stato assegnato a Kate Moss, Lady Gaga, Iman e Nicole Kidman.


Altheo "Fotografia": Un nuovo spazio per la fotografia a Milano.


Palazzo della ragione fotografia è un nuovo spazio espositivo a Milano, pensato per ospitare grandi mostre dal respiro internazionale, all’interno di uno dei luoghi più antichi della città.


L’inaugurazione è affidata a Genesi di Sebastião Salgado, dal 27 giugno, l’ultimo lavoro del fotografo brasiliano, dedicato alla natura e alla salvaguardia del pianeta. Entro il 2015 sono previste anche mostre di William Klein, James Nachtwey e Edward Burtynsky. 




Sebastião Salgado è uno dei maggiori fotografi documentari contemporanei. Nato in Brasile nel 1944, ha studiato economia e statistica all’università, ma dopo aver partecipato a una missione in Africa ha deciso di concentrarsi sulla fotografia.
I suoi primi lavori hanno raccontato la rivoluzione in Portogallo del 1974, la siccità nel Sahel e le guerre coloniali in Angola e Mozambico. I reportage sono il risultato di lunghi viaggi nei luoghi prescelti: per realizzare Other Americas ha trascorso sei anni in America Latina. La sua opera più conosciuta è La mano dell’uomo sui lavoratori di tutto il mondo.

Genesi è l’ultimo grande progetto di Salgado, un viaggio nei cinque continenti dedicato alla salvaguardia dell’ambiente e alla ricerca di una nuova armonia con il pianeta. È stato presentato in anteprima a Roma il 13 marzo e sarà esposto al Museo dell’Ara Pacis dal 15 maggio al 15 settembre.



domenica 1 giugno 2014

Altheo "Moda": “La seduzione della moda” nelle immagini di Gian Paolo Barbieri al Centro Saint-Bénin.


Al fotografo milanese definito da Stern tra i quattordici autori che hanno fatto la storia della fotografia di moda, è dedicata la mostra che il 6 giugno porta ad Aosta 58 immagini, tra volti noti del cinema e della moda, ormai diventati icone.




Verrebbe da commentare “tanta roba”, in gergo giovanile, e andrebbe bene comunque. Diciamo allora “tanta moda e bellezza” e un fondamentale capitolo di storia della moda per descrivere l’evento espositivo dell’Assessorato regionale alla Cultura che venerdì 6 giugno 2014, alle ore 18 al Centro Saint-Bénin di Aosta, presenta la mostra intitolata “Gian Paolo Barbieri. La seduzione della moda” e curata da Daria Jorioz e da Raffaella Ferrari.
Tra i nomi della fotografia italiana di moda più autorevoli e noti a livello internazionale, quella di Gian Paolo Barbieri è una mostra che evidenzia la perfezione formale e rigorosa del corpo umano, della bellezza, del ritratto, che si stia in studio o in luoghi altri. 





Il lavoro di Barbieri è davvero un tuffo nel sogno, nella perfezione, nella ricerca di immagini che rapiscono. Non sono solo i soggetti e i volti che Gian Paolo Barbieri ha immortalato nel tempo (dalla magnifica Audrey Hepburn del 1969 alla top model Veruschka, a Vivienne Westwood, fino a note celebrità del cinema e dell’arte come Monica Bellucci, Angelica Huston, Sophia Loren, Rudolph Nureyev, Jerry Hall, Gilbert&George), dove la bellezza è protagonista, ma è anche l’approccio e la ricerca di uno stile che si è formato nel tempo e che ha firmato così campagne pubblicitarie per i grandi marchi della moda, dalle campagne pubblicitarie per le maisons Valentino, Armani, Ferré e Versace, alle copertine di Vogue. 
Saranno queste le immagini, ormai icone della moda e del mondo dello spettacolo, che la mostra ripercorre: un viaggio nella carriera del fotografo milanese attraverso 58 fotografie di grande formato, che raccontano la storia della moda dagli anni Sessanta fino ai primi anni Duemila. La mostra, aperta dino al 2 novembre 2014, è corredata da un catalogo bilingue italiano-francese (editore Allemandi), che contiene le riproduzioni di tutte le opere in mostra, i testi di Daria Jorioz e Raffaella Ferrari e un’intervista a Gian Paolo Barbieri.





Da sempre affascinato dal cinema e dalle sue bellezze note, il cinema ha dato a Barbieri il senso del movimento e l’occasione di portare la moda italiana, nata su fondo bianco in pedana, in esterno, dandole un’anima diversa. Giovanissimo, infatti, Barbieri si è trasferito a Roma, dove si è dedicato al cinema come apprendista a Cinecittà. 
Nel 1961 Tom Kublin lo recluta come assistente sui set delle collezioni francesi di moda. L’esperienza di Cinecittà influisce molto sulla sua fotografia: diversi sono gli scatti in mostra di ispirazione cinematografica, in cui il set, il posato da studio, non solo mettono in scena, ma raccontano come nel frame di un film. La sua carriera è ricca di soddisfazione, e tra le tante nel 1978 Barbieri è indicato da Stern tra i quattordici autori che hanno fatto la storia della fotografia di moda. Le sue fotografie sono esposte in sedi prestigiose in tutto il mondo, al Victoria and Albert Museum di Londra, alla National Portrait Gallery di Londra e al Kunstforum di Vienna.




Altheo "Design":La tradizione italiana ricorda il maestro Massimo Vignelli.


La tradizione italiana del design sembra vantare più maestri adorati dai loro discepoli che allievi riconosciuti dai loro maestri. Ma forse i Maestri maiuscoli sono solo quelli davvero in grado di creare una lezione di continuità, che non muore con loro e si riconosce sempre in nuovi eredi.


Massimo Vignelli, scomparso lo scorso 27 maggio, era uno di quei Maestri che si impegnano a formare degli eredi, e il suo insegnamento in giro per il mondo non a caso è apprezzabile da chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la grafica degli ultimi quarant’anni.  Architetto, comunicatore, grafico, designer, pur considerandosi troppo “utilitario” per fare arte, è stata una delle figure del design più vicine al miraggio dell’artista totale. Oltre a essere autore di icone che hanno fatto la storia occidentale (come il marchio Ford, il logotipo di United Colors of Benetton, di American Airlines, di alcune pubblicità Pirelli, del bianco e nero di Fratelli Rossetti e della ipercitata metropolitana di New York), e di progetti in cui ogni cittadino americano, magari ignorandolo, sarà inciampato prima o poi nella vita, Vignelli è stato un prolifico dispensatore di lezioni colte e intelligenti che sintetizzava massime lapidarie e memorabili, come se negli anni avesse scritto un testamento, a uso di noi tutti (designer e utenti). Molte le possiamo rileggere in una bella intervista pubblicata sul blog di Nicola Matteo Munari nel settembre 2013.



Ma forse la più acuta era già comparsa sul New York Times, in cui interrogato sul progetto che gli sarebbe piaciuto fare, rispondeva:  “Un sistema di identità per uno Stato, per esempio il Vaticano. Andrei dal Papa e gli direi: Sua Santità, il logo va bene (con riferimento alla croce), ma tutto il resto va rifatto!”.
A sua volta cresciuto professionalmente dai Fratelli Castiglioni, aveva proseguito sotto i grandi italiani. Ma poi aveva scelto un’altra strada. Negli anni Sessanta, dopo un po’ di avanti e indietro con l’Italia, si era trasferito negli Usa contribuendo alla costruzione di un colosso per fama e prestigio come Unimark International, con sedi sparse in tutto il mondo (tra le quali quella italiana diretta da Bob Noorda, autore tra gli altri dell’immagine grafica della linea metropolitana milanese). Poi era nata la Vignelli Associati, in coppia, con Lella, moglie e socia, compagna e collega, che prima di Massimo, aveva scoperto l’America, laureandosi in architettura al Mit e divenendo poi cofirmataria dei tanti capolavori che in questi giorni stiamo riscoprendo anche in Italia, associandoli alla loro firma. Ma è negli Usa che sono stati messi a profitto con vero orgoglio per gli ultimi trent’anni, segnando con tutta probabilità anche la storia dei prossimi trenta e facendo della coppia Vignelliun’icona nazionale della modernità.
Alla morte Vignelli è arrivato da solo, solo con la sua battaglia lunga una vita per sconfiggere l’obsolescenza in nome di un’utopica atemporalità (famoso il suo motto: “Se lo fai bene, dura per sempre”). Perciò il figlio Luca nelle ultime settimane aveva lanciato la campagna “Dear Massimo”affinché chiunque nel tempo fosse venuto a contatto con Massimo gli lasciasse un messaggio: “Immagino montagne di borse piene di lettere. So che una delle massime fantasie di mio padre sarebbe stata quella di partecipare al suo funerale. Questa sarà la cosa migliore. Passate parola.” 117 sono le lettere giunte solo in calce al post di lancio  più centinai di email e più di mille cartoline, molte delle quali con la scritta “urgente”.


Tra i mittenti famosissimi e gli anonimi allievi che lo ringraziano per l’attenzione e lo sguardo sempre rivolto al futuro, colpiscono le tante firme italiane di lettere scritte in inglese, probabilmente di quegli emigrati illuminati dal suo esempio, che come lui hanno finito per confondere le lingue. E infine il critico Ralph Caplan che lo ricorda così: “L’inglese era la sua seconda lingua; ma in un certo senso lo era anche l’italiano. La sua vera madrelingua era il design”.



Altheo "Fotografia": Fiumara d’Arte presenta mostra fotografica “Luce e segni” di Giovanni Pepi a Castel di Tusa.




Dettagli che inquadrano giochi di luci e colori. Particolari che diventano segni all’occhio del visitatore. Suggestioni di cromie e riflessi che regalano differenti punti di vista, coinvolgendo il visitatore in un turbinio di emozioni. “Luce e segni” è l’ultima mostra fotografica, in ordine di tempo, del giornalista e condirettore del Giornale di Sicilia Giovanni Pepi. L’inaugurazione domenica 8 giugno, alle ore 11, nei saloni dell’hotel “Atelier sul Mare” di Antonio Presti a Castel di Tusa, in via Cesare Battisti 4. La mostra rimarrà aperta sino al 14 settembre.
Quaranta scatti che ripercorrono il viaggio del visitatore attraverso le stanze del museo-albergo realizzato dal mecenate siciliano. Un percorso tra le venti camere progettate e create da diversi artisti internazionali col risultato di capolavori unici. Venti opere d’arte “che – come racconta lo stesso Presti – sono pienamente realizzate solo entrando e abitando la camera. La presenza e l’uso delle stanze sono parte integrante e fondamentale di esse”.
E così la macchina fotografica di Pepi mitizza, esalta e focalizza con l’occhio di chi si abbandona ad ammirare le opere d’arte e con la volontà di rendere eterne visioni sfuggenti. “Scopro Atelier e Fiumara a cose fatte – racconta Pepi -. Quando le ragioni dell’arte si sono già imposte sui torti della politica. Penso ad una vacanza nello ‘strano’ albergo voluto da un mecenate ‘matto’. Vivo, invece, un indimenticabile incanto. Ogni stanza nasconde un’idea, un progetto, una visione, un sogno. Niente di uguale si vede da una porta all’altra”.
Alla base dell’iniziativa c’è “la politica della bellezza” di Antonio Presti, ossia l’idea che l’arte e la bellezza abbiano in sé una forte valenza etica e politica, siano fonte di rinascita e progresso delle comunità e contribuiscano alla crescita dell’individuo. “Sono qui per stupirmi – dice Presti -. Con lo stupore si inizia e anche con lo stupore si termina. Ma la bellezza si può manifestare solo se ti ricolleghi agli stati emozionali: al cuore, all’anima.  Ed è in quel cuore e in quell’anima che si trova la condivisione di un futuro. Le opere così non sono il fine, ma il mezzo. La cultura deve impegnarsi a consegnare conoscenza alle nuove generazioni”.
La mostra, organizzata dalla fondazione “Fiumara d’Arte con la collaborazione di Donatella Aiosa, è patrocinata dal Giornale di Sicilia. Sponsor dell’evento: Comune di Tusa, Carti Sud, Azienda agricola Casaleni, Cottanera, Gelateria e pasticceria Di Noto Sicily, Donnafugata, Banca Don Rizzo, Pastificio Fratelli Gallo, La Fiumara, Panificio Portera Maurizio, Azienda agricola Sammataro Agata, Antica macelleria Sammataro Gaspare, Sapori e tradizioni Santino Miceli.


Il programma di domenica 8 giugno prevede un tour guidato per le Camere d’Arte dell’Atelier sul Mare, realizzate da artisti internazionali. Tra gli altri: Michele Canzoneri, Mario Ceroli, Paolo Icaro, Hidetoshi Nagasawa, la moglie dell’ex premier francese Danielle Mitterand, il puparo e cuntista Mimmo Cuticchio e lo stesso Antonio Presti. In programma anche una visita alla “Piramide 38° parallelo”. L’opera, realizzata dall’artista Mauro Staccioli, svetta su un’altura nel vicino territorio di Motta d’Affermo in quello stesso parallelo sul quale, nell’altro emisfero, passa il confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. Un’opera voluta da Antonio Presti quasi per voler riequilibrare la tensione conflittuale di un luogo con la sacralità dell’arte. E’ qui che ogni anno, nei giorni del solstizio d’estate, si svolge il “Rito della luce”. Rito che si ripeterà  anche quest’anno, il 21 e il 22 giugno. Un percorso fisico che diventa metafora di un percorso spirituale. Due giorni dedicati all’arte, dall’alba sino al tramonto. Lungo il percorso che porta alla Piramide si alterneranno le performance di un esercito di musicisti, cantanti, poeti e pittori… tutti vestiti di bianco. Obiettivo: cogliere il nutrimento della conoscenza attraverso la circolarità e la sacralità della luce.
Il programma di domenica 8 giugno
Ore 11,00 Inaugurazione nei saloni dell’albergo-museo Atelier sul Mare
Ore 12,00 aperitivo  con prodotti tipici siciliani
Ore 12,30 visita delle Camere d’Arte
Ore 14,00 spaghettata presso il ristorante in spiaggia dell’atelier
Ore 16,00 visita alla Piramide 38° parallelo, opera realizzata dall’artista Mauro Staccioli.



Altheo "Mostre": L'ossessione nordica - Böcklin Klimt Munch e la pittura italiana a Rovigo.


A Rovigo, fino al 22 giugno 2014, tra le mostre d'arte c'è l'Ossessione Nordica: un confronto tra quei temi estetici e storici nell'entusiasmante incontro fra i pittori del Nord Europa e quelli italiani alla fine dell'Ottocento.




C'è una cosa in Europa andata inesorabilmente perduta con la fine dell'Ottocento, o, meglio, con la conclusione di quel Secolo Lungoesploso nella Rivoluzione Americana del 1775 - e non, come si pensa, nella Francese -, e crollato nel baratro della Grande Guerra del 1914. 
Ed è proprio lo spirito ottocentesco. Reduci da millenni di servaggio fisico e spirituale, imprigionate in prestabiliti recinti ancora feudali, nel XIX secolo finalmente le genti si appropriarono via via di quell'ignota libertà individuale che le spinse a cambiare radicalmente il mondo, a rivoluzionarne le società, a sconvolgerne il pensiero, e infine a esplorarne ogni regione lontana. Era nato l'uomo romanzesco. Le grandi teorie politiche, le ribellioni sociali, le avventure umane: dalle elite intellettuali questo spirito passò rapidamente ai popoli, e si assistette a lotte epocali per idee nuove, a migrazioni bibliche in cerca di nuova vita, generazioni di giovani si immolavano contro le ingiustizie e intere popolazioni si avventuravano alla scoperta dell'inesplorato. È l'epoca di Mazzini e di Lenin, dei Carbonari e degli Anarchici, ma anche dei pionieri americani. È il mondo mitico di Wagner, ma è lo stesso altrettanto eroico del popolare Verdi. Figli del secolo saranno Jack London e Darwin, Lincoln e Nietzsche, e infiniti altri monumenti. Nessuno aveva più paura ad osare, ogni conquista era compiuta per la dignità dell'uomo.
Poi tutto ebbe fine con la rinnovata follia della Prima Guerra Mondiale. Tutto ciò per cui si era lottato non era servito a nulla, l'Europa tornò a essere di nuovo ottusa e maledetta. E terre nuove da scoprire per salvarci e ricominciare non ce n'erano più. Non ci siamo mai più ripresi da questo shock. Oggi quello spirito idealista e romantico ha lasciato il posto alla miseria mentale della nostra epoca, privi d'ogni entusiasmo e dignità, derubati d'ogni speranza di futuro e di vita migliore, incatenati nella globalizzazione della nostra cameretta da cui è ormai impossibile salpare per altri lidi che non siano chat e social network, e dove il massimo dell'avventura vitale risiede nella settimanale discesa all'outlet. E il precipitato di tutto ciò è nello stordimento lisergico dei nostri politici, ragionieri immorali, burocrati criminali, burattini dei nuovi feudatari invisibili che comandano il mondo. Eppure quello spirito ottocentesco fu tanto forte, tanto dinamico...
Chi volesse assaporarlo ancora, non perda la mostra L'Ossessione Nordica, a Palazzo Roverella di Rovigo, dove si confrontano proprio quei temi estetici e storici nell'entusiasmante incontro fra i pittori del Nord Europa e quelli italiani alla fine dell'Ottocento. «Alle Biennali Veneziane arrivarono le opere dei "Nordici" (tedeschi, scandinavi, ma anche svizzeri) e nulla fu più come prima. I paesaggi del profondo nord, i ritratti, le scene di interno conducevano a mondi e a sensibilità diverse, lontane, potenti. Trasudavano un fascino che colpiva dentro. Raccontavano altri luoghi, reali e fantastici, popolati di sentimenti profondi, di miti, di sogni, di simboli. Lontani eppure vicini all'intimo di ciascuno e per questo fonte di una malia da cui risultava impossibile non farsi contagiare. Allora come ora. Gli artisti italiani, uomini di sensibilità ancora più acuta, furono stregati dalle opere di Klimt, Böcklin, Hodler, Klinger e Munch, il nuovo delle Biennali».
L'arte del Secolo Lungo ne interpreta appieno le infinite valenze, e il suo inesauribile articolarsi di motivi e atmosfere si rispecchia con esattezza in questa rassegna dalla rara connotazione meno commerciale che culturale. Quasi 150 dipinti tra simbolismo e realismo, tra visioni del sublime e argomenti domestici, tra ritratti espressionistici e paesaggi leggendari. C'è lo stupore mitologico inseguito lungo scogliere e laghi boreali, e c'è la fatica vera di pescatori e marinai rugosi, ci sono i silenzi notturni dei boschi e quelli di piccole case ordinate, ci sono i fiordi e la neve, e l'anima che li interpreta a modo suo. Ci sono gli italiani colpiti ed elettrizzati dei nuovi sentimenti pittorici scesi sulla Laguna, pronti ad assimilarli attraverso la propria mediterraneità. Ci sono le maschere e i volti dell'umanità, c'è l'erotismo sublimato del corpo femminile, c'è la fantasia della mente e la fascinazione della natura, ma su tutto ci sono i colori freddi ed energici di questi pittori che abbracciarono e furono a loro volta riabbracciati dalla cultura pittorica italiana. C'è un mondo dove ancora si poteva sognare e sperimentare, esplorare e ricordare, pensare e ripartire. Un mondo ancora vicino a noi ma ormai terribilmente lontano.




Mostra: L'ossessione nordica - Böcklin Klimt Munch e la pittura italiana
Dove: Rovigo Palazzo Roverella

Quando: fino al 22 giugno 2014.



sabato 31 maggio 2014

Altheo "concerti": Radio Italia Live in piazza Duomo a MIlano.






Tutto pronto per il Concerto di Radio Italia Live che si terrà domenica 1 giugno in Piazza del Duomo a Milano. Sul palco, a partire dalle ore 20, si esibiranno cantanti del calibro di Giorgia, Elisa, Giuliano Sangiorgi con i Negramaro, Biagio Antonacci, Laura Pausini, Emma Marrone, Claudio Baglione, Edoardo Bennato, Alex Britti.
Cinque ore di musica rigorosamente italiana da seguire dal vivo o in diretta televisiva o radiofonica sulle frequenze di Radio Italia. Le nostre anticipazioni riguardano indiscrezioni su alcune canzone che canteranno i cantanti durante il concerto.
Anticipazioni Concerto Radio Italia Live: ecco cosa canteranno i cantanti
Ed allora vediamo insieme cosa canteranno i cantanti ospiti del concerto del 1° giugno inPiazza Duomo a Milano. Premettiamo che ciascun cantane avrà a disposizione circa venti minuti di esibizione e che canterà tre brani. La scaletta non è dato sapere, ma possiamo anticipare almeno una canzone che sicuramente verrà cantata da ciascun cantante.
Attesissimi Giuliano Sangiorgi e la su band, i Negramaro: da loro ascolteremo sicuramente la cover molto in voga in questo periodo "Un amore cosi grande", canzone scritta da Guido Maria Ferilli nel 1976 ed interpretata da Mario Del Monaco, Luciano Pavarotti, Andrea Bocelli, ma soprattutto da Claudio Villa e da sua figlia Manuela, dopo la sua morte. DaLaura Pausini ascolteremo un suo vecchio successo di vent'anni orsono, "Non c'è", mentre Alex Britti canterà "Solo una volta". Molta attesa perBiagio Antonacci ("Ti penso raramente") e per Emma Marrone ("La mia città"). Edoardo Bennato scalderà il pubblico con "Il rock di Capitano Uncino", mentre canzoni che ci riporteranno indietro nel tempo le ascolteremo da Giorgia ("Di sole e d'azzurro"), Claudio Baglioni ("Strada facendo") ed Elisa ("Gli ostacoli del cuore").


martedì 27 maggio 2014

Altheo "Mostre": Ramona Zordini Transizione Acquatica- Water Transition.





In corso presso la 77artgallery la mostra personale della fotografa Ramona Zordini: si esplorerano le tre serie del progetto CHANGING TIME, con il loro straordinario impatto visivo ed emotivo.
Ne parliamo con entusiasmo dopo già preso visione dei suoi lavori nella collettiva “Linguaggi del Corpo”, dal 17 febbraio al 2 marzo, che ha funzionato come anticipazione della personale. E’ stata presentata la prima serie di Changing Time, con un assaggio della seconda.
Da alcune settimane sono usciti importanti presentazioni dell’artista su riviste e portali stranieri come Hifructose Magazine, Beautifuldecay e lo spagnolo Playgroundmag.net , che riconoscono la portata del valore espressivo e della freschezza del linguaggio, che crediamo consacrerà la fotografa alla meritata fama internazionale.

Le foto ritraggono tutte nudi immersi nell’acqua di una vasca, praticamente irriconoscibile come spazio chiuso ma utilizzata come teatro dell’azione coreografica, che attraverso vari effetti pare acquisire l’aspetto monumentale di una grotta termale classica. Ramona Zordini utilizza il proprio corpo o quello di altri per rappresentare attraverso di esso un moto dell’animo, che i movimenti e l’acqua stessa rendono più graduale e quasi sospeso nell’azione, nel momento in cui vengono fermati.




La condizione psicofisica è rappresentata mentre è in atto una trasformazione: intuitivamente
abbiamo la sensazione di un’azione in corso dei corpi immersi o galleggianti, e nello stesso tempo ci sentiamo richiamati dalla potenza dell’immagine ad una metafora senza filtri della fragilità e della forza necessaria all’esistenza. Nulla di quanto vediamo è definito nel tempo, è un processo che resta in divenire, muta per sempre finchè esiste soffio di vita. Chiunque guarda lo capisce, ma, invece che provare angoscia ne resta ancorato, ammaliato.

Fin dall’inizio della sua ricerca la possibilità di andare oltre il limite temporale si accompagna alla necessità di eliminare le delimitazioni spaziali e mentali di opera fotografica: la cornice quadrata e la bidimensionalità, come afferma  l'artista stessa. Il concetto di superamento di un confine materiale si traduce, a livello tecnico, nella scelta di graduale abbattimento di ciò che sono le tipiche barriere spaziali dell’opera artistica tradizionale, seguendo le due direttrici indicate.

In primo luogo si cambia l’idea di cornice, con quella forma quadrata o rettangolare che ancora
ha resistito al passaggio di avanguardie e transavanguardie. Ramona Zordini sperimenta così la forma ellittica o rotonda. In secondo luogo si raggiunge la terza dimensione trasferendo l’immagine fotografica su materiali diversi. Dopo alcune sperimentazioni, viene scelto il tessuto elastico di jersey, nato proprio per esaltare le forme umane. Dove è rappresentata la parte del corpo emersa dall’acqua l’artista interviene con una imbottitura per poi cucire la zona interessata. La parte tridimensionale è quella che si mette in comunicazione con l’esterno all’immagine che esce propriamente dal quadro e pone l’osservatore in una condizione condivisa, tattile e tangibile, con il soggetto rappresentato. Come se la materia “imbottita” fosse quella più vicina all’umano sia in senso fisico che in senso emotivo.

L’oggetto tridimensionale così costruito, quando è di forma tonda, coinvolge il senso del tatto e della vista mettendoli sullo stesso piano. Non è la funzionalità di un cuscino perché l’immagine stessa possiede ancora l’idea di una cornice, in certi casi data con ironia dalla cornice vera e propria imbottita a sua volta, e quindi continua a rispettare la finestra frontale del racconto, dell’immagine che si fa metafora nell’osservazione di un momento preciso nel tempo, seppure in trasformazione. E’ e rimane uno scatto, definito come in una scena teatrale, fissato prima che diventi altro e che ci permette ancora di ragionare e immaginare, e dare un nostro contributo al suo significato con la nostra personale sensibilità.

La fotografa lavora con la trasformazione, il mutamento di una condizione fisica del corpo che ne rivela quella spirituale. Il corpo ritratto è catalizzatore di emozioni mentre tende all’avvicinamento con la nostra dimensione, mentre si trova in uno spazio liquido definito e di definizione completa e autonoma, come in una sorta di placenta originaria. Così come viene presentato il corpo è l’attore originario, che mette in comunicazione due mondi e ambienti di diversa sostanza: l’acqua e l’aria. Anche quest’ultimo elemento determina spazi isolati e isolanti, e protettivi. Chi osserva si trova ad essere controparte necessaria di questa conversazione, sempre restando ad alcuni gradi di separazione dall’oggetto dell’indagine estetica rappresentata.

I suoi scatti ritraggono corpi immersi la cui autonomia e compostezza viene a mancare man mano che si avvicinano alla nostra dimensione.
Se guardiamo le immagini nelle quali l’oggetto presentato rimane aldilà della barriera liquida, e mobile, dell’acqua, notiamo una leggerezza di espressione, un raccoglimento senza necessità di confronto con altri attori, e questo genera nei soggetti una bellezza semplice e apollinea nell’armonia dei movimenti, nella dolcezza della postura. Anche i colori sono più tonali e l’insieme fa pensare alla scultura barocca, nel suo aspetto di giocosa e morbida plasticità. Sott’acqua l’atmosfera è ovattata, in certi quasi confusa nella manifestazione della plasticità delle forme e degli oggetti grazie ad alcuni liquidi colorati o all’utilizzo di latte, rendendo l’insieme irreale e metafisico, uno spazio senza entrata che filtra solo parte del ritmo naturale del tempo, rievocando di un mondo onirico insieme. La natura ambigua della sostanza nasconde la completezza dei gesti, accentuando la sospensione del tempo reale e del suo svolgersi senza fine.

Invece i corpi propriamente emergenti si muovono verso la trasformazione, cercano e incontrano lo spazio “altro” da ciò che li ha generati, e dentro il quale potrebbero rimanere per sempre, perchè avviluppati come in un liquido amniotico che li rende autosufficienti. Eppure cercano qualcosa o qualcuno con cui comunicare, sono disposti a subire una perdita di armonia, pur di avvicinarsi a noi, pur di assimilare la nostra carnale e vitale imperfezione.




Fanno parte di noi anche coloro che vivono in un mondo parallelo al nostro, come le persone che soffrono di malattie incurabili, per cui il nostro contatto può rivelarsi fatale, ma che la vicinanza visiva fa noi e loro si rivela una presenza emotivamente necessaria. Parte di questa analisi estetica può essere nata infatti da un’esperienza dolorosa legata all’infanzia della fotografa, quando il padre si trovava nel reparto infettivi dell’ospedale di Brescia, e l’artista poteva vedere e parlare con lui soltanto attraverso un vetro.
Non conosciamo l’esito di questo connubio tra i due modi, a Ramona Zordini non interessa. Quello che davvero conta nella sua ricerca è il processo, la tensione emotiva in atto nel tentativo di com-prensione del nostro simile, ma mai identico.

La serie Changing Time III non rappresenta più soltanto corpi solitari, in prevalenza femminili ma coppie di persone sott’acqua e prosegue la ricerca sulla tridimensionalità. Utilizzare due corpi avvinghiati tra loro, senza soluzione di continuità, implica uno sviluppo nell’elaborazione del concetto di comunicazione attraverso il corpo stesso, elegantemente espressa in senso plastico nella molteplice varietà di posizioni e gestualità. Quello che viene in primis notato, anche secondo i ciritci di Hi-Fructose Magazine, è l’energia erotica che ne sprigiona, unita al senso di una necessità disperata di tenersi uniti, come se le membra degli amanti cercassero in continuazione di combattere contro una forza che li può separare.

Ancor più che nelle altre serie l’impatto visivo è notevole ma, come prima, l’azione rimane sospesa in un istante senza tempo, senza fine e senza inizio, e rimane valido il discorso sul tentativo di connessione tra due mondi. Aggiungiamo che l’integrazione tra emerso e sommerso, tra le parti cucite e imbottite e quelle piane, acquista una completezza nella struttura da rendere l’opera finale qualcosa di più vicino alla scultura rispetto a CHANGING TIME I e II. La terza serie è degna di una maturità plastica, che si sviluppa da una consapevolezza fotografica maggiore della potenzialità estetica del corpo umano.

Michela Ongaretti



sabato 24 maggio 2014

Altheo "Fotografia": Giovanni Gastel. L’arte è una fotografia applicata.



Mi piace che Giovanni Gastel abbia deciso di intitolare la sua lectio magistralis al festival Fotografia Europea di Reggio Emilia La fotografia come arte applicata.
Un grande fotografo di moda interpreta il suo mestiere come l’”applicazione” di una pratica artistica. Fotografia come arte applicata – perfetto.
La fotografia non è un’arte pura, per sua e nostra fortuna. Non ha nulla di puro:  evviva. È un meraviglioso ibrido, fin dall’inizio.
Fu definita “la figlia bastarda abbandonata dalla scienza sulla soglia dell’arte”. I bastardi sono sempre i migliori.
Si può fare – forse – poesia pura, si può scrivere una poesia solo per il piacere di scriverla. Ma è impossibile – almeno io la penso così  – scattare una fotografia per il puro piacere di scattarla.
Tutta la fotografia è “applicata”. Nel senso che qualsiasi fotografia viene prodotta per uno scopo, una funzione, un destinatario. Ogni fotografia si inserisce in una rete di relazioni sociali, civili, pubbliche, lo si voglia o no.
Miliardi di fotografie che si producono ogni giorno sono tutte “applicate”, funzionali, utili, perfino servizievoli.
Casomai la parola su cui interrogarci, in quella definizione, è arte. La fotografia è una produzione di immagini a mezzo di un sofisticato strumento tecnico. Non tutte le immagini che produce, anzi a dire il vero solo un’estrema minoranza, appartengono al mondo degli oggetti d’arte.
Bisognerebbe quindi dire, meglio, che la fotografia è in prima battuta una una tecnicaapplicata. Si potrebbe meglio dire che la fotografia  è una pratica che si può “applicare” a tante funzioni, quindi anche all’arte.
Gastel lo sa bene, da grande professionista della fotografia di moda: e la fotografia di moda è una delle “applicazioni” più difficili di questa tecnica di produzione di immagini. Non è quel che sembra. Non è solo fare belle fotografie a belle donne con bei vestiti addosso. È una fotografia efficiente, esigentissima, complessa.
Serve a vendere vestiti ma non è il commesso di un negozio. Serve a vendere illusioni ma non è un candidato alle elezioni. Serve a darci un’immagine di noi stessi ma non è uno specchio. Serve a creare sogni ma non è un sonnifero …
È un mestiere della fotografia, e Gastel sa bene anche questo: guida un’associazione di professionisti, l’Afip, dentro la Cna. Del resto lui stesso ha cominciato facendo foto di matrimoni, ritratti, fototessere, duplicati di documenti.
Per questo, cosa che ho apprezzato nelle sue interviste, nelle cose che dice e scrive, non si è mai permesso di disprezzare nessuna delle “applicazioni” della fotografia, nessuno dei suoi usi, quelli professionali, quelli privati, quelli sociali.
Gastel è un fotografo professionale te molto sofisticato, celebre,  suo modo è una star, ma la sua mancanza di snobismo verso la sua compagna di vita e di avventure è ammirevole. Si vedono in giro fin troppi snob che storcono il naso di fronte alle “altre” fotografie possibili, e non appena possono dicono “ma questa non è fotografia”.
Una fotografia è sempre una fotografia, anche quella della pizza o dei piedi in spiaggia, anche la foto del gatto, anche i famigerati selfie, anche le boccacce tra amici sulla panchina del parco, anche la fotografia di un cantiere edile, anche la fototessera, anche la fotografia delle vacanze è fotografia.
Chi si sente minacciato come fotografo “autore consapevole”, esperto, capace, creativo, dalle mille applicazioni della fotografia, forse è insicuro di quella che ha scelto, forse ha paura di non essere poi così capace, autore, creativo. Chi disprezza le fotografie e ama solo la sua, non ama veramente la fotografia.
Le fotografie, di qualsiasi genere, lontanissime fra loro, hanno tutte in comune una cosa. Mettono in relazione gli esseri umani. Una foto, d’autore o senza autore, bella o brutta, professionale o banale, è uno scambio di sguardi fra umani, e arricchiesce la relazione fra gli umani.
Sapete che c’è una differenza linguistica fra noi e gli anglosassoni. Noi diciamo che le fotografie si fanno, loro che si prendono. Forse abbiamo un po’ ragione entrambi. Ma forse si può aggiunger eun terzo verbo.
Se le fotografie sono relazioni fra gli uomini, allora sono a loro modo come discorsi, parole, gesti, sguardi che gli uomini si scambiano.
E allora le fotografie non tanto si prendono e non si fanno, quanto, semplicemente, si dicono.