venerdì 7 ottobre 2016

Altheo "Fotografia": Annie Leibovitz.





Nel museo delle opere immortali c’è un famoso ritratto fotografico degli anni ’80, la figura esile e nuda di John abbraccia con trasporto quella vestita e distaccata di Yoko Ono. Ci abbassiamo a leggere l’autore della foto e scorgiamo un nome. Andiamo in un’altra stanza e una donna nuda, gravida, di profilo ci saluta, Demi Moore fu la prima a sdoganare quel genere di foto. Prima di allora le donne incinte nascondevano il loro corpo, intimorite dalla morale comune contraria a mostrarsi in quella fase. Leggiamo l’autore ed è di nuovo il nome di prima: Annie Leibovitz.



E ancora Whoopi Goldberg che ci sorride dalla sua vasca riempita di latte. Ancora lei.
Nel museo delle opere immortali ci sono tante fotografie passate alla storia ma è incredibile quante di esse portino il nome di Annie Leibovitz.
La fotografa è nata nel 1949 negli Stati Uniti, abituata fin da piccola a trasferirsi da un luogo all’altro del Paese per seguire gli spostamenti di suo padre, un ufficiale dell’Aeronautica Militare.
È proprio qui che affina il suo occhio, mentre l’auto macinava chilometri e lei aveva come unico rimedio alla noia quello di guardare il mondo dal finestrino, esso diventava il suo schermo, il display da cui guardare le anteprime, fu così che i primi paesaggi e i primi personaggi comparirono al suo sguardo indagatore per pochi secondi. La piccola Annie Leibovitz non conosce alcuna regola della composizione ma sa che quella veduta era piatta prima che comparisse quell’anziano alla sua sinistra. Non conosce nemmeno le regole dei colori ma guarda ammirata le foglie rosse autunnali stagliarsi contro lo steccato verde di quella casa, creando un accostamente perfetto. La piccola Annie non sa tutto questo, non ancora.


A 18 anni è pronta per il San Francisco Art Institute, il corso di pittura la attrae come qualunque artista che inizia il suo percorso decidendo di imprimere le emozioni in istanti. Ma è breve il lasso di tempo in cui decide di appassionarsi alla fotografia, troppo forte è quel sottile legame creato anni prima con il finestrino dell’auto.
Appena un anno dopo comprerà in Giappone una Minolta SR-T 101, una fotocamera SLR 35mm, che la accompagnerà nella lunga scalata del monte Fuji con i suoi fratelli e sorelle.
In merito a quell’esperienza avrebbe detto che la fotocamera era pesantissima e sembrava sempre più pesante ad ogni passo verso la vetta. Una volta arrivata in cima si rese conto di avere solo un rullino, di cui ne aveva già consumato la gran parte, e scattò le ultime 3 foto all’alba levante. Quell’adolescente Annie Leibovitz non sapeva come giostrare i tempi e la gestione degli scatti, non ancora.
La fotografa comincia a frequentare un corso serale, nel 1970, per affinare la propria tecnica e si fa le ossa scattando le prime foto alle manifestazioni contro la guerra, l’anno successivo.



Proprio una di esse finirà su una copertina di Rolling Stones.
Questa rivista era agli albori, non era ancora l’esponente principale delle riviste musicali. Ma aveva fiuto e l’editore Jann Wenner captò da subito il talento di questa giovane fotografa. Dopo un colloquio e una rapida occhiata al portfolio di Annie, ne rimase talmente colpito da assumerla come fotografa dello staff. Nel giro di due anni, la Leibovitz divenne chief photographer ovvero fotografo capo. Un bel traguardo per una appena 23enne!
Ebbe questo incarico per 10 anni, periodo in cui seguì le più importanti rockstar nei loro tour, scattando foto on stage e dietro le quinte.
Una delle foto più rappresentative di questo periodo fu quella di Mick Jagger in ascensore, durante il tour del 1975, ritraendolo in accappatoio e cuffietta. Una visione semplice e ordinaria per l’uomo più straordinario di tutti i tempi.


Dell’esperienza rock, Annie non riesce a ricordare bene le sue impressioni a causa della dipendenza dalla droga, in pieno spirito sex, drugs & rock n’roll.
Non è un caso se, lavorando con i Rolling Stones, la fotografa sia entrata nella spirale della dipendenza. C’entra il suo approccio alla fotografia, entrare dentro la scena e provare empatia per i personaggi da ritrarre. La vita spericolata della band però era troppo per la giovane Annie, che in seguito dirà di averci messo 8 anni per uscire fuori da quel periodo e di aver imparato un importante lezione: prestare attenzione a dove si mettono i piedi per evitare di perdere se stessi.
Molte furono le copertine firmate dalla fotografa per il Rolling Stones, da Meryl Streep travestita da mimo, a Mick Jagger e Keith Richards fino alla famosissima coppia John e Yokoquest’ultima scattata il mattino prima della morte di Lennon.
Annie Leibovitz scattò la foto simbolo dell’amore con il rappresentante massimo dell’era del peace and love il giorno prima che tutto finisse; solo poche ore prima che l’amore soccombesse alle pallottole di uno squilibrato. Ma nel momento in cui John si denudò e si mise a letto con Yoko, Annie non lo sapeva.




Una curiosità sulla foto vede una Annie con un’idea originale diversa rispetto allo scatto finale, avrebbero infatti dovuto essere entrambi nudi ma Yoko non voleva assolutamente togliersi i pantaloni. La fotografa decise allora di rispettare la sua decisione e far spogliare solo Lennon. Incredibile come uno degli scatti che hanno scritto la storia sia il frutto di una coincidenza!
L’esperienza con il Rolling Stones affinò la sua tecnica, caratterizzandola con pose divertenti e colori vivaci, coerentemente con la rivista e il genere musicale ma la fotografa non era pienamente consapevole di quanto il suo stile sarebbe stato importante per le generazioni future.
Molto spesso racconta di quanto si sentisse inesperta nel dirigere gli artisti e di farli muovere solo per non tenerli fermi sulla scena.
È il 1983 quando decide di lasciare la rivista per entrare a far parte della famiglia Vanity Fair.
Questa nuova sfida permette alla fotografa di cimentarsi con diversi ritratti e, ovviamente, diversi protagonisti. Niente più rockstar controverse o cantanti in voga. Vanity Fair toccava una varietà di argomenti infinita e di conseguenza i ritratti richiesti erano infiniti; davanti all’obiettivo posavano presidenti, attori impegnati, adolescenti rubacuori, giovani promesse letterarie, ecc.
Se il Rolling Stones fu la palestra di Annie Leibovitz, Vanity Fair fu la consacrazione del suo talento. Capace di impostare la scena e le luci a seconda della persona che gli compariva dinanzi, aggiungendo particolari o elementi capaci di racchiudere la personalità del ritratto.
Ma nulla è preparato in anticipo, non c’è premeditazione o finzione nelle sue foto, se glielo chiedete vi risponderà:”simply goes for it“, semplicemente va…
Ma non c’è solo Vanity Fair nella sua vita e durante gli anni ’80 cominciò a lavorare su una serie di campagne pubblicitarie di alto profilo come American Expressche le permise di avere pieno controllo sulla campagna, di lavorare al fianco di personaggi quali Luciano Pavarotti e Tom Selleck e di venire premiata con il Clio Award nel 1987.
Gli anni ’90 si aprirono con diversi progetti interessanti per la Leibovitz, tra questi ricordiamo “Dancing Series“, una serie di ritratti di ballerini (tra cui il grande Baryshnikov). Una curiosità su questo progetto è che la fotografa voleva scattare solo qualche foto ma le ore diventarono giorni e i giorni diventarono tre settimane. Sua madre era infatti una ballerina e immergersi in quell’ambiente fatto di punte e posizioni le provocò un ritorno all’infanzia talmente piacevole da restare accanto ai ballerini più del dovuto. In queste foto si nota una certa maturità e occhio alla composizione, simbolo della crescita personale di Annie.
Appena un anno dopo la National Portrait Gallery le dedica un’intera mostra con oltre 200 ritratti, fu un grandissimo onore dato che era la prima volta per una donna.





Più tardi, sempre quell’anno, venne edito un libro Photographs: Annie Leibovitz, 1970-1990 per accompagnare la mostra. In totale, nella vita della fotografa, ce ne sono stati 5: “Photographs“, “American Olympians“, “Women” e “American Music“.
“American Olympians” raccoglie una serie di fotografie in bianco e nero degli atleti americani durante le Olimpiadi di Atlanta, manifestazione in cui la Leibovitz era fotografa ufficiale.
Ma è Women del 1999 a lasciare il segno, considerato uno dei suoi miglior lavori. Il libro raccoglie vari ritratti femminili, dai giudici della Corte Suprema alle ballerine di Las Vegas, fino alle operaie e le contadine. Annie volle rappresentare la diversità della bellezza femminile e quanto essa cambi a seconda del ruolo sociale della donna. Un lungo viaggio suggeritole da Susan Sontag, scrittrice incontrata nel 1988 e diventata la sua compagna di vita.
Proprio lei scrisse un dolce e romantico saggio d’accompagnamento al libro. Susan rimarrà il suo grande amore fino alla sua scomparsa, nel 2004.
“Women” recentemente è diventato una mostra itinerante facendo il suo debutto a Londra nel gennaio 2016 e dal 9 settembre al 2 ottobre ha toccato anche Milano con il progetto “Women: New Project” con l’obiettivo di rappresentare la mutazione delle donne nel corso di questi decenni. Un lavoro di prospettiva che non è altro che la continuazione del viaggio della piccola Annie…





Il lavoro della fotografa negli anni 2000 si tesse di progetti particolarmente diversi, come a voler raggiungere traguardi nuovi capaci di rinnovare il suo amore per la fotocamera.
Ed è così che diventa la fotografa del cast de “I sopranos” riprendendoli come una sorta di “Ultima Cena” di Leonardo Da Vinci, foto che la premierà con l’Alfred Eisenstaedt.
O ancora il progetto Alice nel paese delle meraviglie ideato e realizzato con i maggiori stilisti dal calibro di John Galliano, Natalia Vodianova e Tom Ford che non solo disegnano i surrealistici costumi di scena ma ne interpretano anche i personaggi. Loro che disegnano sogni e rimangono dietro le quinte, diventano i protagonisti della favola, la favola di Annie.
Ma il rifacimento al mondo delle fiabe non finisce qui e nel 2005 e 2006, la fotografa partecipa ad altri due shooting a tema “Mago di Oz” e “Maria Antonietta”, rispettivamente con Keira Knightley e Kirsten Durst.
Esaminando questo percorso con un occhio critico, Annie Leibovitz riesce a divertirsi e proporre scatti che ai tempi di Rolling Stones non avrebbe mai potuto fare, limitata dalle linee guida e dalla necessità di rappresentare e porre massima attenzione verso il soggetto. Con il progredire della sua carriera ha acquistato la piena autonomia, convincendo e vincendo grazie alle sue idee originali e innovative.
Nell’ultimo decennio ha siglato diversi Calendari Pirelli, di cui l’ultimo nel 2016, e il famoso servizio fotografico alla Casa Reale Britannica.
Ma se le chiedete quale sia la sua foto preferita non sa rispondervi, tituba e pensa un po’, per poi dirvi che una delle sue foto più significative è quella della madre di Marilyn Monroe.
Perché la guarda come sei lei non ci fosse ed effettivamente il ritratto ha qualcosa di ipnotico. La donna non è agghindata, non è truccata, si presenta con una camicia aperta indifferentemente sul petto, con i capelli ricci che le incorniciano il volto e un’espressione intensa che oltrepassa lo schermo e sembra graffiare chi la guarda.
Questa foto è poco conosciuta, ma rappresenta in pieno lo stile di Annie Leibovitz: diretta, priva di fronzoli, profonda e che ti scava l’animo. Lei entra nei suoi soggetti, crea un feeling con loro e ne studia il carattere, riuscendo così a rendere il personaggio protagonista della fotografia e non il contrario.
La piccola Annie è cresciuta e adesso sa tante cose.