martedì 4 ottobre 2011

Altheo "letture di viaggio": Settembre 2011

letture di viaggio. Settembre 2011.


Non sono recensioni, non certo per un confuso inventario, ma semplicemente non ho il potere di certi scribacchini e soprattutto i libri che leggo me li pago.
Non colgo nelle mie frasi una punta di ironia, ma avviso il lettore che se negli anni "80 Mc Gyver sparava con una Bic proiettili veri, io ora, con la stessa Bic, sparo solo cazzate.



Amo la storia contemporanea e spesso molte letture approfondiscono storie incredibili, sconosciute, che hanno bisogno di un semplice racconto e di una grande "penna". L'autrice di "Il quarto comandamento", Francesca Barra, rispecchia "alla grande" il mio curioso concetto.
Siamo nella Palermo del 1979. Nuova vittima della mafia è il giornalista Mario Francese.
La sua colpa? Aver parlato: ha scritto sulla struttura di Cosa Nostra, degli interessi sulla ricostruzione del Belice terremotato e sulla costruzione della diga di Garcia.

Francesca Barra presenta la vera storia di Mario Francese e del figlio Giuseppe, anch’egli giornalista, che permise l’arresto di mezza Cupola: Bagarella, Riina, Provenzano,quest’ultimo esecutore e mandante dell’omicidio del padre. E’ la storia di uomini che hanno dedicato la propria vita alla giustizia e alla libertà di parola. Giuseppe aveva dodici anni quando udì i sei colpi di pistola che uccisero il padre. Il testo raccoglie le vicende di una famiglia spezzata dalla violenza della mafia.
Nativa della Basilicata, Francesca Barra mi ha "avvolto" nel suo racconto.

Giornalista, scrittrice, conduttrice e autrice televisiva e radiofonica. Ha lavorato per La7, Rai e Sky. Attualmente conduce il programma La bellezza contro le mafie su Radio1 Rai. Ha scritto e diretto lo spettacolo Storie di donne non ordinarie.



Caro Indro quanto mi mancavi...
Il più arguto, feroce e lungimirante atto d’accusa contro il berlusconismo.
Un ritratto impietoso e preveggente dell’italia dei nostri giorni.
A questo punto non avevo più scelta. O rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi. O andarmene. Me ne vado.” Questo scriveva Indro Montanelli nel suo ultimo articolo per “il Giornale”. Così, nel gennaio 1994, l’uomo che vent’anni prima aveva fondato quella testata lasciò la poltrona da direttore per imbarcarsi nella sua ultima grande battaglia: quella contro una destra nella quale non si riconosceva e che, a suo parere, era il nemico numero uno di chiunque avesse a cuore la libertà d’espressione. Questo libro raccoglie per la prima volta in modo organico gli interventi più accesi degli ultimi anni d’attività di Montanelli: editoriali, risposte ai lettori e articoli sferzanti che oggi suonano come una profezia della cronaca dei nostri giorni.
Basta leggere cosa scriveva nel 1998, quando, preoccupato che il caso Berlusconi paralizzasse il Paese, proponeva un referendum con questa formula: “Volete voi l’abrogazione dei reati in base ai quali è stato condannato l’on. Silvio Berlusconi?” perché tutti ne intendessero subito il significato. O ancora quando metteva impietosamente alla berlina i difetti del Cavaliere: bugiardo congenito, con un’innata tendenza al vittimismo, circondato da un drappello di parassiti servili, eccessivo, ignorante, volgare.
La metastasi del berlusconismo oggi è più evidente di allora e, anche se Indro non c’è più da dieci anni, questo suo lungimirante atto d’accusa delinea il ritratto impietoso dell’Italia dei nostri giorni, un Paese che Montanelli non ha fatto in tempo a vedere, ma che si era perfettamente immaginato.

Caro Indro quanto mi mancavi...


Non mi sono mai avvicinato a lui, l' ho sempre criticato in un modo da tifoso e mai da sportivo.
Diciamo, che lui con Forlani, Fanfani e Andreotti non sono mai entrati nella mia lista personale degli auguri di Natale.
Me lo sono "trovato" anche come Presidente della Repubblica, e non sopportavo le sue interviste durante quei "bastardi" 55 giorni della prigionia conclusasi con l'omicidio di Aldo Moro.
In quel periodo avevo 17 anni e Cossiga era un "nemico". Un grande "nemico".
La sua scomparsa mi è passata indifferente, ed ora eccomi a sfogliare "Fotti il potere" del giornalista Andrea Gangini.
Perchè?
Forse perchè ho pensato che la geniale penna di Andrea Gangini permettesse di consegnare alla storia il testamento morale di Francesco Cossiga. pagine nelle quali viene offerta la visione di un potere senza maschere e finzioni, dove non mancano i soldi, i servizi segreti, la violenza, la guerra, le massonerie, i rapporti tra stati, la religione, il Vaticano.
Appunto.
Tante le riflessioni cossighiane da incorniciare, a cominciare dal ruolo del caso nel gioco politico. E il senso della tragedia, una abitante perenne nei palazzi del potere, indenne da qualsiasi sfratto. Quindi il ragionamento che «la politica è come una droga, e quando il politico perde il potere cade in depressione, citando i casi di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini».
Definito come l’uomo dei misteri, grazie al testo raccolto da Cangini, Cossiga ha offerto alcune rivelazioni, come quella sulla strage di piazza Fontana «opera degli americani», ma più dello scoop ha voluto consegnare agli italiani un metodo per capire i meccanismi del potere. Sapendo che il tratto particolare di Cossiga era il disincanto. Senza dimenticare il sarcasmo.
Argomenti difficilissimi da maneggiare, specie quando un uomo come Cossiga ripete che «il bravo politico manipola e falsifica». Anche per Cangini, la scomparsa del presidente «lascia un vuoto incolmabile». Ma il suo libro è destinato all’immortalità.
Continuo a non amarlo.



Amo la montaga, amo entrare in Feltrinelli.
Sono uscito con tanto di tessera associativa con "la scalata impossibile" di jennifer Jordan.
Nel 1939 il miliardario americano Dudley Wolfe partì dal Maine deciso a diventare il primo uomo a scalare il K2, la seconda vetta più alta della terra. Secondo molti la più difficile: una montagna straordinaria e terribile, destinata solo a pochi alpinisti esperti e determinati. Nonostante l'età e l'inesperienza, Wolfe diede grande prova di coraggio e insieme a Fritz Wiessner e a tre sherpa, continuò a salire anche quando le forze lo stavano abbandonando. Ma poi non riuscì a proseguire. Tentò la discesa ma non ce la fece, e i suoi compagni furono costretti ad abbandonarlo a 7600 metri d'altezza. 63 anni dopo, Jennifer Jordan scopre i suoi resti alle pendici del K2 e racconta la storia appassionante di questa sfida grandiosa, che nasce nei patinati salotti europei e sale fino alle vertiginose altezze di una montagna splendida e inviolabile.



Ho acquistato anche un piccolo volumetto per smettere di fumare.
Dopo la prefazione ho buttato via il volumetto accendomi una Camel.


Altheo


Altheo "letture di viaggio": letture di viaggio.agosto 2011