giovedì 12 novembre 2015

Altheo "Design": Design mix. L'arte di vestire la tavola firmata Untitled





Vale la pena raccontare del nuovo marchio di homeware Untitled, creato da Massimiliano Locatelli, per almeno quattro motivi (e non solo perché con il Natale che arriva qualche idea per un regalo di design, soprattutto se acquistabile online, è sempre la benvenuta). 
Il primo – e più ovvio - è che la collezione di piatti, posate, bicchieri e ciotole disegnata da questo architetto (famoso per i suoi progetti nel mondo della moda firmati con lo studio CLS Architetti di cui avevamo già parlato qui) è bellissima: semplice ed essenziale nelle forme ma preziosa e sofisticata per finiture e materiali, davvero rappresenta una boccata d'aria fresca nel panorama arts de la table. 
Ma c'è, come si diceva, dell'altro. Il progetto è infatti interessante per la sua modularità e flessibilità: ogni pezzo, infatti, nasce per essere mescolato ad altri oggetti, meglio se diversi, allontanandosi anni luce da tanta oggettistica di design che spesso costringe al total look. Nel set di presentazione, avvenuta nell'unico punto vendita su Milano in Corso di Porta Vigentina 12 (il resto si venderà online, su Yoox), Massimiliano Locatelli ha creato per esempio un interessante paesaggio mixando i suoi elegantissimi piatti disegnati per Herend con quelli di Untitled. Ma l'idea è che ognuno crei la propria tavola usando magari qualche pezzo spaiato proveniente dal servizio buono della nonnaA questa grande flessibilità – già interessante per chi non può considerare per esempio l'acquisto di un'intera collezione - si aggiunge poi l'unicità del servizio tailor-madebasterà infatti chiedere a Massimiliano Locatelli come allestire una tavola per un'occasione speciale per avere una consulenza personalizzata: e lo styling, si sa, è quello che davvero fa la differenza per quanto riguarda le atmosfere negli interior.
Infine c'è il fattore prezzo. Malgrado la ricercatezza, la collezione di Untitled ha un price tag decisamente interessante (si parla di 30 euro per un piatto, di soli 50 per una splendida bottiglia in vetro con supporto in metallo). Eppure siamo di fronte a bicchieri dorati, piatti di madreperla, vetri soffiati a bocca. Tutti, non dimentichiamolo, fatti in Italia (tranne nel caso – come quello delle ciotole di bambù – in cui il materiale richieda una fabbricazione all'estero). «In realtà il prezzo è spesso una conseguenza del progetto», spiega Locatelli. «Gli oggetti di Untitled sono volutamente molto semplici per quanto riguarda le forme e tutto lo sforzo di ricercatezza è stato impiegato nella realizzazione di “pelli” speciali, finiture sofisticatissime che però non incidono mai in modo così sostanziale sul costo». 
Anche la scelta di distribuzione ha un impatto sul prezzo al pubblico. «La collezione sarà venduta soprattutto online, una scelta che di fatto abbatte il 50% dei costi. Inoltre, avendo già in programma un pop-up store su Yoox.com, siamo stati in grado di realizzare numeri abbastanza alti». Il prezzo interessante al pubblico non è quindi una conseguenza (come spesso accade) di un approccio manifatturiero low cost ma di una precisa strategia legata al tema del lusso inteso come personalizzazione. «Penso che la gente abbia una gran voglia di trasformare la propria tavola e di farlo spesso, a seconda degli ospiti o delle occasioni, mescolando in modo libero. Un po' come si fa con la moda. Ormai è normale mixare l'abito del department store con la borsa firmata e la collana della nonna. Untitled si propone come un elemento di questa possibile trasposizione del desiderio di mélange, dal fashion al design». Del resto, la U di Untitled sta proprio per “you”, cioè l'acquirente che diventa in qualche modo anch'egli designer, se non di prodotti, almeno di atmosfere. E verso il cui gusto Locatelli prova un rispetto che si nota soprattutto nei dettagli. «Abbiamo anche realizzato un packaging che – oltre a essere stato pensato per le spedizioni a seguito della vendita online – vive da sé come oggetto: una scatola che si posiziona come un libro su una mensola, con dei fogli di cartavelina che separano i piatti all'interno». Provate a guardarli: su ognuno c'è stampata una ricetta milanese. «Se l'esperienza deve essere preziosa», conclude Locatelli «è bene che lo sia fino in fondo». Con tanto di finale a sorpresa.



Altheo "Fotografia": Se la Magnum vende Erwitt e McCurry a 100 dollari fa bene o male?



Fotografia: se la Magnum vende Erwitt e McCurry a 100 dollari fa bene o male?




Riparte in questi giorni, e ormai è una ricorrenza: periodicamente la mitica agenzia Magnum, quella che tra i suoi padri annovera Capa e Cartier-Bresson, mette in vendita tramite il suo sito internet stampe fotografiche autografate dai suoi autori a 100 dollari, 90 euro circa.
Per quella cifra chiunque, collezionista e semplice appassionato, può possedere – e sottolineo la parola possedere – un’opera firmata di Elliott Erwitt, Steve McCurry, Depardon, Le Querrec, Barbey e via elencando la scuderia dei fotografi di razza che formano questa cooperativa.
Dichiaro subito, per essere chiaro, che al primo giro di questa iniziativa anch’io ho fatto la mia piccola scorta.
Ma perché un brand così blasonato e storico si mette a “svendere” ripetutamente stampe autografe che, per quando di formato piuttosto ridotto, s’immagina dovrebbero avere un valore di mercato maggiore?
La risposta è semplice: la Magnum – anche la Magnum – ha bisogno di soldi.
La situazione generale del mercato fotogiornalistico è nota, le agenzie e i fotografi (con qualche rara eccezione) arrancano, spesso chiudono: si pensi all’italiana Grazia Neri, che ha cessato l’attività pur essendo (o forse proprio per questo) la più grande agenzia fotografica italiana.



Un’iniziativa che rompe forse un tabù e dunque coraggiosa quella di Magnum, che però può essere vista e giudicata in due modi contrapposti a seconda del punto di vista: bottiglia mezza piena o mezza vuota?
Ma sì – Ammirevoli i nostri. Fotografi affermati, famosi e invidiati, uniti in un collettivo che condivide gioie e dolori, si mettono in gioco e accettano di fare “volontariato” per salvare le sorti non solo della loro agenzia (che è anche una casa, una moglie, una fede) ma di un pezzo di storia. Simbolicamente, se crollasse Magnum, il pessimismo tipico della categoria rischierebbe di diventare cosmico e irreversibile.
E “quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare”, dunque non autolesionismo e cedimento ma reazione attiva con ricadute “socialmente utili”: offrire a tutti la possibilità di iniziare a sentirsi collezionisti, e chissà, poi magari ci si prende gusto.
Insomma, non svendita ma “divulgazione” a fin di bene: proprio e altrui.


Ma no – Brutta bestia la paura, fa fare cose che mai uno si sarebbe sognato di fare.
Notoriamente i fotografi di Magnum si accapigliano (da sempre) su molte decisioni, di cui poi devono condividere oneri e onori. Ma in questo caso possibile che nessuno si sia dissociato?
Ce lo vedete il quasi novantenne Elliott Erwitt a dover firmare in un colpo solo migliaia di foto da spedire in tutto il mondo ad altrettanti sconosciuti?
Fosse stata una tantum poteva essere anche vista come una sana provocazione e un’operazione mediatica per attirare attenzione sul problema della deriva economica del fotogiornalismo, problema che in fin dei conti riguarda tutti quelli i cui occhi s’imbattono in una fotografia che può spostare in alto o in basso la qualità dell’informazione, poco importa se su carta o sul web.
Ma l’ondata di foto Magnum a cento dollari va ripetendosi spesso, dunque l’aspetto che prevale è quello di sembrare una mera necessità, senza tante implicazioni e ragionamenti altri.
Non prendo posizione, o le prendo entrambe. Lascio a ciascuno la sua visione.
Ho simpatia e ammirazione per la Magnum, in qualche misura anch’io ipnotizzato dal suo mito. Ho anch’io molta preoccupazione per un mercato che si è sgretolato e per la qualità che esiste nell’offerta ma non nella domanda. Sono anch’io stretto tra orgoglio e paura, tra cuore e stomaco.
Che poi, alla fine, la domanda non è tanto se c’è ancora spazio per la Magnum o per il “modello Magnum”, ma piuttosto se c’è ancora spazio per quello che ha rappresentato e rappresenta: una fotografia alta, consapevole, onesta e capace d’informare. Una grande finestra sul mondo con i vetri ben puliti.